Premesso che:
il direttore dell'Agenzia delle entrate di Verona ha disposto la chiusura definitiva dello sportello decentrato di Caprino Veronese, con decorrenza 1° gennaio 2020;
l'area a nord di Verona identificata come comprensorio del Baldo-Garda racchiude 16 comuni (Malcesine, Brenzone, Torri del Benaco, Garda, Bardolino, Lazise, Peschiera del Garda, San Zeno di Montagna, Costermano sul Garda, Caprino Veronese, Rivoli Veronese, Ferrara di Monte Baldo, Brentino Belluno, Affi, Cavaion Veronese, Pastrengo, Castelnuovo del Garda) e conta oltre 70.000 abitanti;
all'interno di questa area operano quotidianamente studi di dottori e ragionieri commercialisti e di consulenti del lavoro di supporto di attività commerciali, turistiche, artigianali, agricole ed industriali;
sarebbe un grave danno per tutti i cittadini, i professionisti e le imprese del territorio;
l'ufficio dell'Agenzia delle entrate di Caprino Veronese è un servizio facile da raggiungere per tutti e sono indiscutibili l'importanza e la necessità della permanenza di tale sportello, a beneficio anche di tutti i comuni limitrofi,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno approfondire quali siano state le motivazioni che hanno portato alla decisione di chiudere l'ufficio di Caprino Veronese;
se e quali provvedimenti di propria competenza intenda urgentemente adottare a salvaguardia dei cittadini, così da scongiurare la chiusura di un presidio tanto importante per la provincia di Verona, come quello del Comune di Caprino Veronese.
nel corso dell'audizione in 6ª Commissione permanente (Finanze e tesoro) del Senato, il Ministro in indirizzo, in relazione alle questioni di competenza connesse alla "Bozza di riforma del Trattato istitutivo del Meccanismo Europeo di Stabilità - MES", ha mostrato, a giudizio dell'interrogante, una serie di contraddizioni nell'ambito delle procedure di modifica del Trattato, sia in relazione a quanto sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri Conte (che sostanzialmente ha smentito quanto da egli sostenuto) che successivamente dal Ministro per gli affari europei Amendola, il quale ha dichiarato che i contenuti principali sarebbero stati già decisi e fissati senza tuttavia aver avuto il consenso del Parlamento;
al riguardo l'interrogante evidenzia, altresì, come, anche nell'ambito delle regole di Basilea 3 (riferite all'insieme di provvedimenti per la regolamentazione della gestione bancaria introdotti nel 2011 in risposta alla crisi finanziaria) lo stesso Ministro, smentendo autorevoli quotidiani economici ed esperti del settore, ha sostenuto che le nuove regole bancarie abbiano prodotto effetti positivi sul settore, nonostante invece un articolo pubblicato da "Il Sole-24 Ore", il 10 aprile 2019 riporti in realtà che l'eccesso di regolamentazione bancaria sta "strozzando" l'accesso al credito delle piccole e medie imprese, proprio a causa del quadro regolatorio previsto da Basilea 3, che ha reso il credito sempre meno accessibile e più costoso per le PMI;
il citato articolo di stampa, a tal fine, evidenzia che i prestiti alle PMI fino ad oggi, sono stati assoggettati ad una sfilza di regole e standard regolatori più stringenti rispetto ad altre forme di lending, complice la loro presunta maggiore rischiosità intrinseca, le cui disposizioni nei riguardi del sistema bancario hanno stabilito accantonamenti più sostanziosi, quando prestano denaro a una PMI piuttosto che ad una grande azienda;
nell'ambito di Basilea 3, ad esempio, prosegue ancora "Il Sole-24 Ore", anche la parte dei fidi non utilizzati è soggetta ad accantonamenti e questo penalizza uno degli strumenti più largamente utilizzato dalle PMI, ed inoltre tra riforme di Basilea (soprattutto quelle legate all'implementazione di richieste di capitale più stringenti), calendar provisioning della Bce e l'introduzione dei nuovi principi contabili (Ifrs9), il costo del capitale per le banche (e quindi dei prestiti) è aumentato a dismisura (stimato all'1 per cento che genera indicativamente un incremento dei tassi su un prestito a cinque anni che oscilla tra il 10 e i 40 punti base, a seconda della qualità dell'impresa);
tali osservazioni, a giudizio dell'interrogante, confermano nuovamente una palese e grave inadeguatezza del Governo nel rilanciare l'economia italiana e tutelare gli interessi italiani in sede Ue, considerato che, sia le dichiarazioni contradditorie degli esponenti del Governo su temi fondamentali dell'economia del Paese, che le decisioni di politica economica e fiscale, introdotte nel corso degli ultimi mesi (dal decreto fiscale alla legge di bilancio per il 2020) che hanno pesantemente rallentato la crescita economica nazionale (oltre alle misure di politica industriale sostanzialmente inesistenti) hanno inciso in maniera negativa e penalizzante sul rilancio del sistema-Paese;
risulta conseguentemente urgente e necessario, fornire adeguati interventi chiarificatori, in grado di chiarire quale sia la posizione del Governo italiano in relazione a quanto esposto, ed evitare pertanto che le dichiarazioni contrastanti e divergenti da parte dei membri dell'Esecutivo possano arrecare ulteriori problemi in ordine alla credibilità del Paese, nell'ambito delle decisioni assunte a livello internazionale,
quali valutazioni il Ministro in indirizzo intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa, anche con riguardo a quanto sostenuto dall'articolo del quotidiano "Il Sole-24 Ore" citato in premessa;
quale sia la posizione effettiva del Governo italiano in relazione alle questioni di competenza connesse alla "Bozza di riforma del Trattato istitutivo del Meccanismo Europeo di Stabilità - MES ", considerando che nel corso degli incontri internazionali lo stesso Esecutivo ha espresso dichiarazioni divergenti;
quali iniziative infine il Ministro intenda intraprendere, per favorire un migliore e necessario accesso al sistema creditizio in favore delle PMI, considerato fra l'altro come dall'ennesimo recente scandalo bancario della Banca popolare di Bari, si confermino criteri e decisioni nell'erogazione delle procedure creditizie, effettuate in maniera ambigua e senza adeguati sistemi di controllo nei riguardi di società, che nonostante le difficoltà finanziarie hanno continuato a beneficiare di crediti rivelatisi inesigibili.
la giurisprudenza di merito ha spesso sanzionato gli usi, abusi ed ordinari soprusi perpetrati per decenni dagli istituti di credito, in merito a clausole vessatorie nei contratti, portate in Tribunale, Cassazione e Consulta dall'azione dell'Adusbef: dall'illegale pratica vietata dall'art. 1283 del codice civile, ma consentita dagli "usi bancari" applicati per oltre mezzo secolo, di capitalizzare gli interessi sui prestiti effettuati dalle banche ogni 3 mesi, annualizzando quelli sui depositi, ai mutui usurari ed a tutta una serie di raggiri che hanno colpito milioni di utenti dei servizi creditizi;
nel 1999 la Suprema Corte ha chiarito, con le sentenze n. 2374/99 e n. 3096/99, che gli usi a cui si riferisce la disposizione sono esclusivamente quelli normativi in senso tecnico;
tra gli ordinari soprusi, i contratti Assimutuo, ossia contratti di mutuo per l'acquisto della prima casa, collocati in Italia tra il 1997 ed il 2000 da Abbey National Bank, la cui informativa faceva ritenere che, alla scadenza la polizza sottoscritta, avrebbe quantomeno garantito la restituzione del capitale o di una parte di quanto pagato. Infatti, lo schema del contratto prevedeva che il cliente pagasse ad Abbey la quota interessi del mutuo, mentre la quota capitale, pure versata dal cliente, venisse utilizzata per pagare il premio di una polizza, contratta con l'allora Commercial Union ed il cui ricavato, a scadenza, sarebbe stato versato alla banca a saldo del capitale mutuato. Nel 2004 Abbey National ha ceduto i mutui a Unicredit Banca per la Casa (nel 2010 incorporata da Unicredit Banca), che da quel momento è subentrata nel rapporto coi clienti incamerando la quota interessi. Non si è modificato, invece, il rapporto assicurativo con Commercial Union divenuto poi Aviva nel 2006. Lo schema prospettato non si è mai realizzato, a causa dello scarso rendimento del capitale investito, con conseguente richiesta al mutuatario di importi cospicui assolutamente inattesi. Poiché la buona fede contrattuale e la trasparenza sono alla base di tutti i rapporti negoziali, in quelli bancari, vigilati dalla Banca d'Italia, è fondamentale l'ordinaria diligenza qualificata da operatori che maneggiano il credito ed il risparmio, tutelati dall'articolo 47 della Costituzione. La giurisprudenza di legittimità ha evidenziato che l'istituto bancario deve sempre uniformare la propria condotta sia al canone di correttezza e buona fede (art. 1175 del codice civile), il quale deve sempre connotare il rapporto obbligatorio nelle diverse fasi attuative, che allo standard di diligenza qualificata dell'operatore professionale, art. 1176 del codice civile: "La buona fede negoziale, assurgendo a criterio oggettivo di valutazione del comportamento secondo i canoni di lealtà e probità, si sostanzia in un generale obbligo di solidarietà che impone a ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, trovando tale impegno solidaristico il suo limite unicamente nell'interesse proprio del soggetto tenuto, pertanto, al compimento di tutti gli atti giuridici e/o materiali che si rendano necessari alla salvaguardia dell'interesse della controparte nella misura in cui essi non comportino un apprezzabile sacrificio a suo carico" (ex multis sentenza della Cassazione n. 14605/2004; n. 13345/2006; n. 10669/2008; n. 1618/2009; n. 22819/2010 e n. 23033/2011);
considerato che:
l'interpellanza 2-00030 del 27 marzo 2019 metteva in rilievo la prassi di Abbey National Bank, che tra il 1997 e il 2000 aveva piazzato migliaia di prodotti "Assimutuo", con uno schema contrattuale che addossava al cliente il pagamento della quota di interessi del mutuo mentre la quota capitale, versata dal cliente, veniva utilizzata per pagare il premio di una polizza "Commercial Union" il cui ricavato a scadenza sarebbe stato versato alla banca a saldo del capitale mutuato;
il prodotto era commercializzato al cliente sulla base della comunicazione fraudolenta secondo la quale, a scadenza del mutuo e della polizza, il ricavato di quest'ultima sarebbe servito ad estinguere integralmente la quota capitale del mutuo. Così non è stato per lo scarso rendimento del capitale investito, con conseguente richiesta al mutuatario di importi cospicui assolutamente inattesi; in tali mutui è previsto che la quota di interessi venga pagata alla banca, mentre la quota di capitale viene riscossa mediante una o più polizze assicurative dalla Aviva Life SpA, già Commercial Union, con il mutuatario che stipula la polizza aderendo però alla convenzione stipulata tra la banca e l'assicurazione, mediante un collegamento negoziale tra mutuo e convenzione assicurativa; nella convenzione assicurativa è scritto chiaramente che la polizza coprirà quantomeno la quota capitale che al termine del mutuo verrà liquidata alla banca che ne è beneficiaria, e poiché le quote confluiscono nel fondo "Lifin" se le somme saranno superiori al capitale da erogare alla banca la differenza verrà liquidata ai mutuatari";
la buona fede esecutiva, che trova la propria ratio nel principio solidaristico di cui all'articolo 2 della Costituzione, impone quindi alla banca di agire, anche in via informativa, in modo da preservare la controparte contrattuale, mentre, l'art. 1176 del codice civile statuisce che "nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata", sicché la banca, svolgendo attività professionale, deve adempiere a tutte le obbligazioni assunte nei confronti dei terzi, con la diligenza particolarmente qualificata dell'accorto banchiere, non solo con riguardo all'attività di esecuzione di contratti bancari in senso stretto, ma anche in relazione ad ogni diverso tipo di operazione oggettivamente esplicata (si veda la sentenza della Cassazione n. 13777/2007);
dopo una lunga trafila, determinata da procedimenti giudiziari incardinati da avvocati delegati Adusbef e culminati nella sospensione all'esecuzione (Tribunale di Tivoli), in cui sono stati contestati la scarsa trasparenza sul prodotto assicurativo, che in realtà, diversamente da quanto falsamente prospettato, non garantiva affatto la restituzione del capitale, una recente sentenza del Tribunale di Roma ha accertato che a causa del difetto d'informativa, la banca Unicredit non può ripetere dal cliente la differenza tra quanto corrisposto, e che il fondo Lifin avrebbe dovuto rivalutare, ed il capitale residuo non maturato, pertanto a causa dell'informativa deficitaria ed ambigua dovrà essere la stessa assicurazione Aviva a corrispondere quanto dovuto ad Unicredit, determinando così la condanna delle parti alle spese del giudizio,
se il Ministro in indirizzo sia al corrente del dramma di migliaia di famiglie titolari di un contratto "Assimutuo";
se non ritenga che siano platealmente viziati tali contratti capestro a danno delle famiglie, con i sottoscrittori non compiutamente informati del rischio di perdite, i cui contratti non sarebbero stati sottoscritti nel caso di informazioni chiare e trasparenti sull'alea di rischi addossati esclusivamente ai cittadini contraenti;
se non ritenga opportuno attivare al riguardo le procedure ispettive e conoscitive previste dall'ordinamento, per ristorare i danni inferti a migliaia di famiglie, che rischiano di perdere la casa.